Visite specialistiche difficili e necessità di rivolgersi al privato per curarsi. Presentato da Cittadinanzattiva Lazio il 1° Rapporto regionale “Il servizio sanitario regionale e i pazienti con malattia cronica o rara”.

Sono 256 le persone affette da patologia cronica o rara coinvolte nel 1° Rapporto regionale “Il servizio sanitario regionale e i pazienti con malattia cronica o rara”, presentato oggi al Policlinico Tor Vergata da Cittadinanzattiva Lazio, e che analizza due momenti specifici: marzo-settembre 2020 (emergenza pandemica) e 2021.

 

L’identikit del cittadino del Lazio che ha risposto all’indagine.
Soprattutto donna (75,8%, uomini 24,2%), tra i 31 e 50 anni, vive nelle aree metropolitane, nel 70% ha una sola patologia cronica; se rara la patologia è riconosciuta nel 74% dei casi, partecipa attivamente in un’associazione. È in cura per la patologia che la affligge, per un periodo che va dagli 11 ai 20 anni. Nel 48% dei casi ha un caregiver che la sostiene e che nel 97,6% è un familiare. Nel 42 % dei casi lavora, ma nel 6,3% la patologia impedisce di studiare/lavorare.

 

Accesso alle prestazioni: punti critici e segnali di miglioramento.
Le criticità legate all’accesso alle prestazioni sono prevalentemente legatealla necessità di realizzare una visita specialistica a causa degli ambulatori chiusi (41,2%), e quindi per le liste di attesa la situazione è addirittura peggiorata - nel corso del 2021 visto che nel periodo marzo-settembre 2020 era del 35,3%. Stessa situazione ci viene segnalata per quanto riguarda invalidità civile e/o handicap 39,4%, contro il 32,7%.

Altra area critica è quella del “mancato rispetto dei codici di priorità U,B,D,P (attese superiori a quelle previste dal codice di priorità assegnato nella ricetta) per nuove prestazioni richieste” che passa dal 34,2% al 38,5%

Le altre voci relative all’accesso alle prestazioni registrano tutte un segnale di miglioramento.
“Sul mancato rispetto dei codici di priorità va fatta subito una proposta operativa alla luce del nuovo Piano di Governo per le Liste di Attesa 2022-2024”, commenta Elio Rosati, segretario regionale di Cittadinanzattiva Lazio. “Il vecchio Piano è scaduto e deve essere riscritto. Alla Regione chiediamo che una delle modifiche riguardi un aspetto che ci viene segnalato spesso dai cittadini: la mancata indicazione (biffatura) del Codice di priorità da parte dei sanitari e che la ricetta dematerializzata non venga presa in carico dal sistema CUP fino a quando la stessa non sia completa dell'indicazione di priorità”.

 

Le vaccinazioni contro il Covid.
L’ informazione sulle diverse tipologie di vaccinazioni contro il Covid avviate dalla Regione Lazio vede soddisfatta la maggioranza delle persone, anche per le modalità per accedere alle vaccinazioni. Solo l’8,9% ha avuto difficoltà di prenotazione contro il 91,1%. Le vaccinazioni per queste fasce di popolazione sono state fatte nell’84,8% presso gli Hub vaccinali.

 

Assistenza Domiciliare e Covid.
Per il
69,2% dei rispondenti vi sono difficoltà per accedere all’ADI e tali difficoltà rispetto al pre-Covid per il 75% sono aumentate.

I motivi principali risiedono nell’interruzione dell’assistenza (50%), mancanza di figure professionali (50%), difficoltà di accesso (37,5%) numero di giorni/ore di assistenza (37,5%), difficoltà nella fase di attivazione (25%), turn over del personale (25%).

Il 45,7% ha segnalato difficoltà per la Riabilitazione: di questi il 76,2% lo ha registrato per quanto attiene la Riabilitazione ambulatoriale.

Nel 57,1 % il problema maggiore è stata la sospensione del servizio, nel 38,1% le lunghe liste di attesa, nel 28,6% riduzione del servizio, nel 23,8% la mancanza di equipe multidisciplinare.

Invalidità, handicap e Covid.
Il 58,6% ha registrato maggiori difficoltà e per il 69,8% le difficoltà sono oggi decisamente superiori rispetto al periodo preCovid.

In particolare, oltre il 50% per i tempi troppo lunghi per le visite e per gli accertamenti, il 37,2 per una sottovalutazione da parte dei sanitari della patologia di cui si è affetti, il 32,6% segnala che nelle commissioni non ci sono specialisti per le patologie, il 32,6% segnala inadeguatezza delle Tabelle di invalidità, il 27,9% ritiene che la visita venga svolta con superficialità.

 

Innovazione tecnologica e cittadini.
Telemedicina.

Il 74,2% non usufruisce di servizi di Telemedicina, il 9,4% ne usufruiva già prima della Pandemia e il 7,8% esclusivamente dopo la pandemia Covid.

Fascicolo Sanitario Elettronico: Il 36,7% ha il FSE attivato, ma il 54,7% non sa se sia attivo o meno.

Ricetta dematerializzata: il 79,3% la usa, mentre il 12,1% non sa cosa sia. Il 58,6% la usava già prima della pandemia.

 

Costi per le cure.
Il tema dei costi da sostenere è un aspetto rilevante in generale, ma per chi ha patologie croniche e/o rare diventa un elemento caratterizzante che produce ulteriori diseguaglianze. Ecco le voci più ricorrenti su questo aspetto: il 57,8% di visite specialistiche viene effettuato in regime privato o intramurario, il 55,5% riguarda l’acquisto di parafarmaci (integratori, creme, pomate, lacrime artificiali), il 53,9% dei costi è impiegato per sostenere esami diagnostici effettuati in regime privato o intramurario, 40,6% per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi), 32,3% in prevenzione primaria e secondaria (screening, visite per diagnosi precoce), 41,8% per l’acquisto di farmaci necessari e non rimborsati dal SSN.

 

Farmacie di comunità.
Il ruolo svolto dalle farmacie, grazie alla capillarità e ai servizi attivati, hanno trovato un positivo riscontro nei cittadini tanto che il 51,2% è molto soddisfatto e il 42,6% lo è abbastanza per le attività svolte.

“Il Rapporto dunque mostra chiaramente che le persone con patologia cronica e rara ad oggi non rappresentano ancora una vera e concreta priorità per le politiche pubbliche sociosanitarie in Italia”, ha commentato Rosati. “Tutto questo nonostante vi sia ampia prova dell’incidenza, la diffusione, l’impatto sulla qualità della vita, sulla sfera lavorativa della persona malata e di chi la assiste, famiglia in primis, sui redditi famigliari e sul bilancio della sanità pubblica e dei servizi socioassistenziali”.

Per far fronte a questo dato, la Regione Lazio ha attivato la Sanità partecipata e tale azione politica e organizzativa riveste un carattere di innovazione nel governo delle patologie croniche e rare sul fronte della “partecipazione”. Può produrre atti significativi anche nel cambiamento organizzativo dei servizi. Ma la cosa non è scontata, non è semplice, non è immediata. Il dato politico di questo Atto è che le organizzazioni civiche sono parte della soluzione, non del problema.

“È quindi fondamentale, dal nostro punto di vista, ampliare lo spettro della partecipazione”, ha ancora aggiunto Rosati, “ampliare le attività a sostegno di tale operazione anche a livelli territoriali più “prossimi” come le ASL e i Distretti Sanitari. Perché è nei territori che si giocherà la partita dell’effettività dei diritti, della presa in carico, della costruzione di modelli di cura personalizzati”.

 

Il PNRR sul serio.
Primo: esiste una questione legata alla carenza del personale sanitario che non potrà essere reperito, verosimilmente, in tempi “utili”.
Secondo: il territorio, che oggi tutti citano in ogni documento, è allo stremo
. Lo stesso Presidente Zingaretti in una recente intervista a un giornale nazionale ha parlato di “desertificazione del territorio”. Tale espressione fu usata dal sottoscritto già nel 2016 per indicare le condizioni di estrema difficoltà dei nostri territori. E il tema del personale sanitario fa parte di questa questione.

Terzo: l’innovazione tecnologica, paradossalmente, ha avuto una spinta significativa grazie alla pandemia Covid. Ora è tempo che tale strumento sia la norma, non l’eccezione. Dalla ricetta dematerializzata alle app che gestiscono le patologie, dalla telemedicina al teleconsulto, dalle prenotazioni di visite ed esami alla interoperabilità dei sistemi. E per fare questo è necessario non solo un investimento tecnologico ma un percorso di formazione verso gli operatori sanitari e i cittadini. E in questo le associazioni dei malati cronici e rari potrebbero giocare un ruolo centrale.

Quarto: le politiche sociosanitarie devono includere sempre più nella programmazione, nella valutazione e nelle eventuali correzioni le autorità e le comunità locali (Sindaci, Assessorati alle Politiche Sociali etc etc…). Va fatto un netto cambio di paradigma con un’apertura al dialogo, al dibattito e alla collaborazione comunitaria tra tutti i soggetti presenti nei diversi territori per realizzare con modalità flessibili risposte reali, prese in carico reali e un sistema reticolare di interventi sempre più personalizzati.

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